IL CONFINAMENTO MAGNETICO IN CONFIGURAZIONE REVERSED FIELD PINCH (RFP) TROVA NUOVO SPAZIO SU NUCLEAR FUSION

03/05/2021 Fisica

A 30 anni dall’ultima rassegna sui risultati sperimentali e sulla comprensione teorica della configurazione per il confinamento magnetico denominata ‘Reversed field Pinch’, la prestigiosa rivista ‘Nuclear Fusion’ ha pubblicato un nuovo articolo che aggiorna la comprensione della potenzialità di questa configurazione (“The Reversed Field Pinch”, L.Marrelli, P.Martin, M.E.Puiatti, J.S.Sarff, et al., Nucl. Fus. 2011) https://dx.doi.org/10.1088/1741-4326/abc06c

Lionello Marrelli è un fisico ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche presso il Consorzio RFX, attualmente responsabile dell’esperimento RFX-mod2 per lo studio della fisica del confinamento magnetico in configurazione RFP. Facciamogli qualche domanda su questo argomento.

Una prima battuta sulla pubblicazione: come ha reagito alla notizia?
E’ stata la conclusione di un lungo lavoro risultato della collaborazione fra ricercatori provenienti da tutti i maggiori laboratori in cui si sono studiate le proprietà sperimentali della configurazione Reversed Field Pinch. Speriamo di essere riusciti ad armonizzare e sintetizzare efficacemente risultati sperimentali e teorici e di aver saputo fornire gli elementi del dibattito scientifico di una generazione di ricercatori che hanno lavorato in diverse parti del mondo: è stata una impresa lunga e laboriosa, che ha richiesto molte stesure.


Che cosa è il ‘Reversed Field Pinch’?

In maniera molto grossolana lo possiamo definire un particolare contenitore per materia caldissima, che utilizza il metodo del confinamento magnetico. Facciamo una piccola digressione: per poter realizzare in laboratorio la stessa reazione di fusione che avviene nel Sole e nelle stelle è necessario riscaldare il combustibile a temperature elevatissime, dell’ordine delle decine di milioni di gradi centigradi. A quelle temperature la materia assume lo stato di plasma e gli atomi che la costituivano si scindono in ioni ed elettroni. Il plasma a quelle temperature non può essere contenuto da pareti materiali, perché si danneggerebbero. Per mantenerlo confinato si sfrutta allora il fatto che le particelle cariche tendono a seguire il campo magnetico: in particolare se il campo magnetico assume la forma di una ciambella, il plasma in esso contenuto continuerà indefinitamente a fluire al suo interno. Le diverse tipologie di macchine per il confinamento magnetico del plasma realizzano tale campo magnetico facendo circolare della corrente in bobine esterne di varie geometrie. Il Reversed Field Pinch è quindi un tipo di macchina per confinare magneticamente il plasma, così come lo sono il Tokamak o lo Stellarator.

Perché la configurazione si chiama così e quando è stata scoperta?

La configurazione è stata casualmente scoperta nella macchina inglese ZETA negli anni 60 (più o meno gli anni in cui sono nati gli autori di questa rassegna). Si osservò che quando il campo magnetico al bordo cambiava spontaneamente direzione rispetto al centro, il plasma diventava più stabile, ovvero rimaneva acceso per un tempo più lungo rispetto a quando tale inversione non avveniva. Il nome della configurazione ‘Reversed Field Pinch’ (RFP) deriva quindi da queste prime osservazioni sperimentali.
Le prime analisi teoriche indicarono che l’esistenza della configurazione RFP (più precisamente la sua stabilità ideale) era proprio dovuta al rovesciamento del campo magnetico e alla presenza di un involucro perfettamente conduttore. Tali analisi non spiegavano però il meccanismo che portava al rovesciamento del campo né tantomeno la sua persistenza su tempi lunghi: anche se molto si è capito, questo è tutt’ora un importante tema di ricerca.

Quali sono le caratteristiche principali della configurazione RFP e perché viene studiata?

Da un punto di vista pratico, il Reversed Field Pinch necessita di un campo magnetico esterno meno intenso rispetto alla configurazione Tokamak scoperta in Unione Sovietica e attualmente utilizzata per il futuro reattore sperimentale ITER, in costruzione in Francia a Cadarache. Questa è una caratteristica che renderebbe tecnologicamente più semplice un eventuale reattore a fusione basato sul RFP, a patto che il plasma riesca a confinare l’energia in misura sufficiente.
Un’altra caratteristica importante del RFP è che il plasma contribuisce al suo confinamento. Più precisamente, a differenza delle altre configurazioni magnetiche, nel RFP è il plasma stesso che genera una parte del campo magnetico che lo mantiene stabile e confinato: per questo motivo talvolta si dice che il plasma RFP si auto-organizza.

Quali sono le principali novità presentate nella rassegna su Nuclear Fusion?

Ce ne sono molte, sia teoriche sia sperimentali a testimonianza di una intensa attività di indagine scientifica. Dal punto di vista sperimentale la rassegna riporta i risultati ottenuti nella generazione di macchine RFP che erano in costruzione all’epoca dell’ultima rassegna. In particolare vengono descritti gli stati a quasi singola elicità (Quasi Single Helicity QSH), che non erano stati osservati negli esperimenti delle generazioni precedenti. Alle correnti di plasma più elevate il plasma, specialmente al suo interno, tende ad assumere una struttura elicoidale che diventa più calda del plasma circostante. La scoperta di tali regimi ha avuto una forte base teorica, in quanto erano stati osservati in simulazioni numeriche anche prima degli esperimenti.
Il controllo attivo delle instabilità del plasma è un altro importante risultato sia teorico sia sperimentale, riassunto nella rassegna. Le prime generazioni di esperimenti RFP potevano mantenere un plasma in configurazione RFP per tempi determinati dalla conducibilità del materiale che lo conteneva: per mantenere un plasma indefinitamente sarebbe stato necessario un superconduttore, cosa non realizzabile in pratica. RFX-mod, l’esperimento di Padova, ed EXTRAP-T2R, a Stoccolma, implementarono un’idea proposta da Lawson nel 1971 ed elaborata da Bishop nel 1996: circondare il plasma con una fitta rete di bobine (192 nel caso di RFX-mod) controllate in retroazione che generassero un campo equivalente a quello che sarebbe stato prodotto da un ipotetico superconduttore. Questo sviluppo è stato possibile grazie alla tecnologia di controllo digitale che è stata implementata qui a Padova.



Come ha contribuito il Consorzio RFX alla ricerca RFP?

L’esperimento RFX ha dato il nome al Consorzio RFX, nel 1996, in quanto allora era l’unico esperimento operante all’epoca presso questo laboratorio. Fu la prima macchina RFP ad esplorare regimi di corrente fino ad 1MA e mise in evidenza i problemi dovuti alla presenza di molte instabilità. Basandosi sulla comprensione del ruolo della geometria delle strutture che circondano il plasma maturata in RFX, fu progettato l’esperimento RFX-mod.

Che caratteristiche aveva la macchina RFX-mod?

La caratteristica peculiare di RFX-mod, era quella di essere dotato di 192 bobine a sella, alimentate in maniera indipendente e controllate in retroazione da un controllore centrale, capace di acquisire ogni 0.2ms qualche centinaio di segnali di campo magnetico ed elaborare i valori di corrente che sono necessari in ciascuna delle 192 bobine per compensare i campi spuri che generano le instabilità. Grazie a questo sistema RFX-mod ha raggiunto la corrente di plasma di 2MA, che era il valore di progetto. In questi regimi di alta corrente sono stati ripetutamente osservati gli stati elicoidali, con temperatura del plasma crescente con il livello della corrente, fino a 1500 eV, cioè 15 milioni di gradi. Attualmente RFX-mod è “spenta”, per consentire la realizzazione di modifiche che, a partire dal 2022, consentiranno di produrre nel nuovo esperimento RFX-mod2 plasmi con prestazioni ancora migliorate e di rispondere a molte questioni ancora aperte sulla fisica e le prospettive dell’RFP.


Qual’è l’importanza della pubblicazione della rassegna sul RFP in questo prestigioso giornale di settore?

Testimonia l’interesse della comunità scientifica sulla ricerca nell’ambito RFP. Pur essendo oggi la maggior parte delle risorse dedicate alla ricerca fusionistica concentrata sul Tokamak e sullo Stellarator, pensiamo sia importante proseguire anche sulla linea RFP, sia per i suoi potenziali vantaggi per un futuro reattore, sia per la ricchezza della fenomenologia fisica che l’RFP può disvelare in regimi di corrente non ancora esplorati, sia anche perché ancora oggi i problemi legati a un reattore Tokamak non possono dirsi risolti, e quindi è importante avanzare anche sulle possibili alternative. Non a caso la rassegna si conclude con una citazione di Enrico Fermi del 1947: ‘… la vocazione di uno scienziato è di far avanzare le frontiere della nostra conoscenza in tutte le direzioni, e non solo in quelle che promettono ricompense immediate o applausi’.